Il lavoro di Sabine Delafon spazia dalla fotografia all’installazione, dai writing painting alla performance, e si sviluppa in una continua pratica lavorativa in molte aree di ricerca tra cui l’identità, l’amore e la spiritualità. Negli ultimi mesi Sabine si è dedicata alla costruzione di quest’articolata idea, Ho Fame; l’abbiamo incontrata per saperne di più.
Come hai iniziato a collezionare i cartelli di Ho Fame dai mendicanti?
È successo. Cartelli come questi sono sempre sotto gli occhi di tutti. Tra le tante cose che vediamo ogni giorno, ogni tanto ce n’è qualcuna che ci colpisce diversamente e si trasforma in idea da sviluppare. Per me sono state le dichiarazioni dei cartelli in mano ai mendicanti, ma un giorno potrebbe essere qualcos’altro, come gomme delle macchine o persino macerie…
Un tema sempre all’ordine del giorno sotto tanti punti di vista…
In arte non sono certo la prima a trattarlo, anzi, quando ho iniziato ad acquistare cartelli per strada non ho potuto far a meno di ricordare la mostra di Andres Serrano da Yvon Lambert Galerie che avevo visto l’anno precedente a Parigi: Serrano aveva fotografato i cartelli degli homeless girando per gli Stati Uniti. L’avevo dimenticata, un anno dopo, quando mi sono avvicinata a quegli oggetti e a quell’idea, tutto è tornato alla mente. Avevo qualche dubbio, non volevo ci fossero reali punti di contatto con il lavoro di Serrano, nel frattempo avevo trovato una modalità tutta mia.
E così nel 2014 inizi a camminare per Milano in cerca di cartelli da comprare… Che significato ha per te Ho Fame?
Si, ho camminato per le strade di Milano, ma anche di Parigi, Torino, Berlino e prossimamente Londra. Non ero e non sono tuttora in cerca di cartelli qualunque, ma solo di quelli che dichiarano l’avere fame. In Italia, o almeno a Milano, la maggior parte delle persone che tengono in mano questi cartelli probabilmente non hanno un bisogno di cibo reale e concreto. Li compro perché la dichiarazione Ho Fame non è solo fame fisica, ma può assumere più significati e diventare un messaggio appartenente a tutti. Tutti abbiamo fame di qualcosa, bellezza, affetto o altro.
Trovi che ci sia un filo conduttore tra quest’ultimo progetto e altri tuoi lavori precedenti?
Assolutamente si. In questo progetto ritorna lo scambio di denaro che avevo già messo in atto nella performance 350 euros (2005). Mi avevano invitato ad Arte Fiera Bologna per fare una performance, che è diventata una raccolta fondi per ripagare le spese di viaggio e alloggio; il titolo della performance corrisponde esattamente alla cifra raccolta. Anche la scrittura rimane una costante nella mia pratica artistica, in una direzione diametralmente opposta Testament, la serie di biglietti da visita firmati da altri artisti, ne è l’esempio più riuscito.
Anche l’agire per strada è una costante del tuo lavoro…
Da anni raccolgo o lascio un segno, a volte un materiale, per strada. Non definirei questi lavori urbani, ma in qualche modo sono strettamente collegati all’andare in giro, al viaggio, al cammino. In assoluto la serie di Stars, costellazioni di stelle blu lasciate in ogni città di passaggio, e quella di Ex, una raccolta in progress di mie fototessere scattate dal 1987 ad oggi in giro per le cabine di fototessere di tutto il mondo.
Dopo averli comprati come rielabori i cartelli di Ho Fame?
Nel mio lavoro cerco sempre di creare dei legami di causa ed effetto, delle relazioni tra le persone. Per Ho Fame ho deciso di creare un circuito economico realizzando dei multipli d’artista: posters, t-shirts e piatti, che si possono trovare su www.iamhungry.it. Questa operazione rappresenta l’equilibrio possibile tra il dare e l’avere e fa sì che questo sia un progetto giusto, etico, bilanciato, anche perché il ricavato sarà in parte devoluto a Banco Alimentare Onlus.
Dove potremo vedere con i nostri occhi questi multipli d’artista?
Sul dove non posso ancora dare anticipazioni, per quanto riguarda i tempi però sicuramente molto presto.