Si dice che nel mondo, oggi abitato da più di 7 miliardi di persone, ne esistano almeno 7 identiche a ciascuno di noi: ammesso che sia vero, quante probabilità abbiamo di incontrarle e perché quest’idea ha da sempre affascinato l’uomo che nel corso dei secoli ha affrontato il tema del sosia in innumerevoli opere letterarie, artistiche e filosofiche? Se l’essenza dell’essere umano è in gran parte definita dalla sua supposta unicità, l’esistenza di un ipotetico doppio sembra minare alle radici la nostra autoconsapevolezza, ma allo stesso tempo il perturbante desiderio di vederci rispecchiati in un’altra identità esercita su di noi un’irresistibile attrazione. L’esponenziale moltiplicazione delle immagini veicolate dalla rete internet e la diffusa tendenza a pubblicare in rete fotografie private che restituiscono in veste ufficiale le nostre azioni quotidiane hanno più che mai rinvigorito l’antica favola di Narciso, incarnazione mitica del tema del doppio fatalmente innamorato di se stesso.
Parte da queste suggestioni la mostra Search my Double di Sabine Delafon, recentemente presentata a Bologna nelle sale della Biblioteca Italiana delle Donne, nell’attiguo Chiostro di Santa Cristina (sede del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna) e nello spazio urbano della limitrofa via Fondazza a cura di Fulvio Chimento e Pasquale Fameli. Iniziato nel 2005 e ancora in corso, il progetto prevede la distribuzione di volantini segnaletici in cui compare il volto dell’artista, fotografato in differenti periodi con le macchinette automatiche per le fototessere, associato alla scritta Cerco me stessa, se conosci qualcuno che mi somiglia, contattami a cui segue l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica a cui rivolgersi in caso di rassomiglianza. Nel corso degli anni l’azione è stata ripetuta in diverse città del mondo, come New York, Istanbul, Roma, Avignone e Milano (dove Delafon attualmente risiede) e ha generato una variegata raccolta di locandine scritte in più lingue, oltre a un corposo archivio che riunisce le mail di chi si è riconosciuto nell’immagine o ha voluto interagire con il progetto esprimendo i propri commenti e curiosità.
Apparentemente niente di nuovo: sin dall’Esposizione in tempo reale presentata Franco Vaccari alla Biennale Veneziana del 1972 l’impersonalità della fototessera e il coinvolgimento del pubblico con macchinette Fotomatic sono procedimenti consolidati dell’arte contemporanea, mentre gli impressionanti mosaici di autoscatti di Karl Baden, che da oltre 30 anni si ritrae quotidianamente con la stessa inquadratura nella performance Every Day, gli utopici tentativi di Douglas Huebler di documentare l’esistenza di ogni essere vivente nelle griglie di Variable Piece e le Détalis Photo di Roman Opalka sono solo alcuni esempi di come la pratica ossessiva di ritrarre e ritrarsi in cerca di un’impossibile conciliazione tra la mutevolezza dell’essere umano e la registrazione meccanica sia già stata ampiamente esplorata.
Ma l’uomo, per la sua costitutiva fragilità e instabilità, continua ad avere le stesse paure e domande, a scrutarsi per percepire la propria individualità, a interrogare l’altro da sé per trovare se stesso, a cercare conferme della propria esistenza nel mondo esterno. E per questo Sabine Delafon, senza lasciarsi inibire dagli illustri predecessori che hanno affrontato ricerche simili, persegue la propria necessità interiore di scoprire e sapere con mezzi volutamente rudimentali e sghembi, escludendo dal proprio orizzonte operativo l’impersonale efficienza delle tante piattaforme internet dedicate alla ricerca di sosia per lasciare un segno nello spazio urbano e affidare al caso i possibili esiti del proprio lavoro.
La caparbia ripetitività di un’azione ingenua e la perseveranza nel portarla avanti nel corso degli anni costituiscono la cifra distintiva di una performance in cui sdoppiamento, moltiplicazione e dispersione trascendono i codici della creazione artistica per offrire a un pubblico accidentale la possibilità di un’esperienza condivisa e una via d’accesso privilegiata all’insidioso terreno del dubbio. Se la sua personale ricerca non è stata ancora esaudita, l’artista dichiara infatti di non aver trovato nessun doppio soddisfacente tra le persone che l’hanno contattata, l’efficacia del progetto sta nell’invito all’autocoscienza e nell’implicito suggerimento a guardarci attorno, a continuare a cercare uno scambio reale con l’altro per non scomparire a noi stessi.
Le sollecitazioni più introspettive di Search my Double hanno inoltre generato il video Ex, proiettato a Bologna nella suggestiva cornice del chiostro quattrocentesco di Santa Cristina, ricavato dal montaggio cronologico di oltre 2000 ritratti in formato fototessera che l’artista ha realizzato a partire dall’età di dodici anni. Il rapido susseguirsi delle immagini condensa lo scorrere del tempo, l’alternarsi degli stati d’animo, i lievi cambiamenti fisiognomici e le trasformazioni di abbigliamento e acconciatura in un’unica impressione visiva che enfatizza la profondità di uno sguardo che con gli anni diventa sempre più diretto e consapevole. L’opera, oltre a presentare l’identità come un’entità metamorfica e polifonica che rifugge ogni catalogazione e sistematizzazione, invita a riflettere sui vari mascheramenti esteriori a cui affidiamo il tentativo di fissarne l’immagine nel corso della nostra vita.