Di gruppi artistici se ne conoscono molti, ma SDC non è un gruppo come gli altri:
non cerca un'identità collettiva, non vuole creare un nuovo soggetto, artistico o politico.
Non si espone al fallimento delle proposte moderne e postmoderne, avanguardie e postavanguardie, proclamanti che l'ora è venuta perché il Nuovo Evento si affacci sullla scena dell'Arte.
SDC è la necessaria (eticamente doverosa) decostruzione della soggettività dell'Artista, che qui ha nome Sabine Delafon.
SD ha messo in gioco la propria identità personale e artistica molto più di quanto abbiano fatto altri, e più di quanto avesse fatto lei stessa in precedenza: inventando SDC, SD non ha inteso sovrapporre l'identità altrui alla propria, ma ha bensì disperso la propria identità in una molteplicità di singoli individui.
SDC è una relazione, non un semplice gruppo: anzi, è relazione di relazioni (ogni individuo è in se stesso relazione). In un gruppo, gli individui hanno un'identità determinata, che interagisce con quella altrui. Nella relazione, ogni individuo è interdipendente dagli altri individui: i confini della comunità diventano virtuali.
Non c'è limite alle dimensioni di SDC e non c'è regola per farne parte, purché vi siano da offrire positività e non negatività. Al limite SDC potrà coincidere con l'intera umanità positivamente disposta verso l'Altro.
All'interno della relazione SDC, io, ex-Edoardo, lavoro perché ognuno si metta in relazione con tutti, per finirla di pensarsi come un Sé separato. Con SDC io lavoro alla decostruzione del soggetto e alla scoperta della comunità che viene.
SDC è la comunità che viene. Da quanto tempo la attendevamo?
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